Pubblicato in: Altre Religioni

Jay Bakker, il predicatore tatuato e punk

di adriana 21 gennaio 2008

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Figlio di due telepredicatori famosi negli anni ’80, Jay Bakker è il fondatore di una chiesa un po’ speciale, Revolution, che non disdegna gli omosessuali, la musica hard-core e il mondo di tatuaggi e piercing. Jay, cresciuto tra il parco a tema cristiano Heritage creato dai genitori, Tammy Faye e Jim Bakker, e lo studio televisivo di Praise the Lord, il programma televisivo da loro condotto, è sempre stato un ragazzino ribelle. Lasciata la scuola in giovane età ha iniziato a bere e fumare senza però perdere mai la fede. Quella stessa fede che la sua famiglia aveva trasformato in un business miliardario. Non ha perso la fede neanche quando i suoi genitori sono stati investiti da uno scandalo a base di corruzione e sesso, che ha fatto crollare il loro impero come un castello di carte. Skater, musicista hard-core punk, completamente tatuato, Jay Bakker appare tutto tranne che un pastore. Invece, dal 1994 è il capo spirituale della chiesa alternativa Revolution, fondata con altre due persone, che vanta sedi ad Atlanta, New York e Charlotte e una schiera di fedeli. Si, perché questo strano connubio tra religiosità e anticonformismo piace a tutti quei credenti che non si riconoscono appieno nella chiesa ufficiale ed ora ha risvegliato anche l’interesse dei Media. Ma le sue posizioni, a volte controcorrente, come quella di essere disposto a celebrare il matrimonio tra gay, gli hanno valso l’appellativo di ‘eretico’. “Molti mi chiamano eretico. – racconta Jay Bakker – Tanti inviti sono stati cancellati. Abbiamo perduto il nostro principale finanziatore, una fondazione conservatrice che ci dava soldi perché raggiungiamo persone altrimenti escluse dal messaggio di Dio”. Jay non ha intenzione, per questo, di fermarsi e continua imperterrito a diffondere la parola del Signore, dalla sala concerti di Pete’s Candy Store, nel cuore di Brooklyn, e a sostenere che tutti “senza distinzione di religione e nazionalità, dovrebbero avere gli stessi diritti ed ottenre salari dignitosi“.

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